Virus e Cambiamento Climatico – la relazione tra emergenze sanitarie ed emergenza climatica
La percezione diffusa
È ormai noto che al diffondersi del Covid-19 abbia seguito una reazione di ansia condivisa: i media hanno generato il panico tra la popolazione e le istituzioni raccogliendo un’attenzione molto maggiore rispetto a quella relativa all’emergenza climatica.
Il risultato? Emerge una diversa percezione del rischio da parte della maggioranza della popolazione: il coronavirus, l’emergenza sanitaria in generale, colpisce da vicino e in tempi ristretti, mentre gli impatti del cambiamento climatico sono percepiti come lontani nel tempo e nello spazio.
Va considerato però che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica provocherà 250mila morti ogni anno. E c’è un rischio nuovo da valutare, anche alla luce dell’attuale emergenza da coronavirus…
Nel corso della storia siamo sempre esistiti fianco a fianco con virus e batteri. Dalla peste al vaiolo ci siamo evoluti per resistere a loro, e in risposta, hanno sviluppato nuovi modi di infettarci. Tuttavia, cosa accadrebbe se venissimo improvvisamente esposti a batteri e virus mortali che sono stati assenti per migliaia di anni o che non abbiamo mai incontrato prima? Potremmo essere in procinto di scoprirlo.
Lo scioglimento dei ghiacci
La temperatura nel circolo polare artico sta aumentando rapidamente, circa tre volte più velocemente rispetto al resto del mondo. Il ghiaccio artico raggiunge il suo minimo ogni settembre. Il grafico mostra l’estensione media mensile del ghiaccio artico ogni settembre dal 1979, derivata da osservazioni satellitari effettuate dalla NASA (https://climate.nasa.gov/vital-signs/arctic-sea-ice/). Il ghiaccio artico di settembre ora sta diminuendo ad un tasso del 12,85 percento per decennio, rispetto alla media del 1981-2010.
A causa dell’aumento delle temperature artiche, il permafrost, congelato per migliaia di anni, si sta sciogliendo. Man mano che i terreni si sciolgono, rilasciano antichi virus e batteri che, dopo essere stati dormienti, tornano in vita.
Il permafrost
Il permafrost è uno strato di suolo permanentemente ghiacciato, composto da terra e frammenti di roccia, non necessariamente con acqua ghiacciata. È presente ai margini delle aree artiche, con profondità che arrivano fino a 1.500 metri. Lo strato che inizia a qualche metro di profondità non si scongela dall’ultima glaciazione, 10.000 anni fa.
“Il permafrost è un ottimo conservatore di microbi e virus, perché fa freddo, non c’è ossigeno ed è buio“, afferma il biologo evoluzionista Jean-Michel Claverie dell’Università di Aix-Marseille in Francia. Quindi, il suolo congelato di permafrost è il luogo perfetto in cui i batteri possono rimanere in vita per periodi molto lunghi, forse fino a un milione di anni.
Alcuni esempi
Solo nei primi anni del XX secolo, oltre un milione di renne morirono di antrace. Non è facile scavare tombe profonde, quindi la maggior parte di queste carcasse sono sepolte vicino alla superficie, sparse tra 7000 cimiteri nella Russia settentrionale. Nell’estate del 2016, nel nord della Siberia, un’ondata di calore sciolse lo strato superficiale di ghiaccio sotto il quale giacevano i resti delle renne uccise decenni prima dall’antrace. Una volta tornate alla luce le carcasse ancora infette, il batterio avrebbe contaminato il suolo e l’acqua, per passare prima agli animali e poi all’uomo. Il focolaio di antrace uccise un adolescente e un migliaio di renne, oltre a infettare decine di persone.
Persone e animali sono stati sepolti nel permafrost per secoli, quindi è concepibile che altri agenti infettivi possano essere scatenati. Ad esempio, l’NIH (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) ha scoperto frammenti del virus dell’influenza spagnola del 1918 in cadaveri sepolti in fosse comuni nella tundra dell’Alaska.
In uno studio del 2005, gli scienziati della NASA hanno rianimato con successo batteri che erano stati rinchiusi in uno stagno ghiacciato in Alaska per 32.000 anni. I microbi erano stati congelati dal periodo pleistocenico, quando i mammut lanosi vagavano ancora sulla Terra. Quando il ghiaccio si sciolse, iniziarono a nuotare, apparentemente inalterati.
Nel gennaio scorso, è stato pubblicato dalla rivista bioRxiv uno studio in cui un team di ricerca composto da scienziati cinesi e statunitensi ha esaminato due campioni di ghiaccio di 15.000 anni fa prelevati dall’Altopiano tibetano. Lo studio ha rilevato 33 virus, molti dei quali sono risultati sconosciuti.
Nello scenario peggiore, secondo la ricerca, i virus potrebbero essere rilasciati nell’atmosfera a seguito del riscaldamento globale e dello scioglimento del ghiaccio.
Quanto dovremmo preoccuparci?
Scott Rogers, professore della Bowling Green State University, scrive che “questa situazione potrebbe scatenare una piaga incurabile che potrebbe compromettere l’esistenza della vita sul pianeta. I pericoli racchiusi nel ghiaccio sono reali e, con gli aumenti dello scioglimento del ghiaccio in tutto il mondo, aumentano anche i rischi derivanti dal rilascio di microbi patogeni nell’ambiente“.
Tuttavia, il rischio di contagio da agenti patogeni derivanti dallo scioglimento del permafrost è intrinsecamente inconoscibile, piuttosto, ciò di cui dovremmo preoccuparci apertamente è la minaccia ben più consolidata del cambiamento climatico.
Modificare in maniera definitiva e condivisa la percezione dell’emergenza climatica non è più solo necessario, oggi è urgente.
di Marta Boschetto
Iscriviti alla nostra newsletter!