The world is screaming
“The world is screaming out for action but this summit responded with a whisper. The poorest nations are in a sprint for survival, yet many governments have barely moved from the starting blocks. Instead of committing to more ambitious cuts in emissions, countries have argued over technicalities.”
Così ha parlato Chema Vera, Direttore Esecutivo ad Interim di Oxfam International, in risposta al comunicato finale dei colloqui di COP25 sul clima a Madrid.
Il fallimento del COP25
Purtroppo, nonostante i lavori abbiano avuto una estensione record di 42 ore, la riunione COP25 di Madrid è terminata con pochi passi avanti compiuti. E’ ormai chiaro che i negoziati per il clima nel 2020 saranno una “battaglia”, sembra infatti chiaramente mancare una chiara volontà politica.
Seppur tutti i governi ai colloqui abbiano ammesso che gli obiettivi di riduzione del carbonio sono troppo deboli, pochi sono i piani concreti che possano rafforzarli in linea con l’accordo di Parigi, invece di impegnarsi in tagli più ambiziosi delle emissioni di gas serra, i paesi hanno voluto discutere su dettagli tecnici.
Molte le questione che sono state rimandate, tra cui il modello di attuazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, meccanismo che dovrebbe permettere di “cedere” tra paesi le quote rimanenti di gas serra tra chi consuma meno a chi più, in modo da permettere ai secondi una transizione più facile e che soprattutto non comprometta il raggiungimento degli obiettivi generali o l’inserimento di vincoli sugli obblighi per i singoli paesi di presentare piani di riduzione delle emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi fissati.
La 25ma conferenza sul cambiamento climatico è considerata da tutti un fallimento.
Ma quali fattori sono intervenuti?
Stati Uniti, Brasile, Australia ed alcuni altri paesi hanno ostacolato apertamente un accordo, proprio per evitare la promulgazione di regole più rigide per la riduzione delle emissioni.
Inoltre i paesi più sviluppati non sono stati in grado di dare garanzie “sufficienti” per creare dei meccanismi che prevedano finanziamenti sistematici e adeguati verso altri più esposti agli impatti sul cambiamento climatico e che necessitano quindi di maggiori risorse economiche per il trasferimento di milioni di persone, la costruzione di nuove infrastrutture e la salvaguardia e messa in sicurezza delle coste.
In più, alcuni paesi meno sviluppati, per paura che le misure anti-emissioni possano frenare la loro crescita economica, chiedono misure compensative da parte di quelli più industrializzati e dove la transizione è già (lentamente) cominciata.
Il rapporto speciale sul clima
Ricordiamoci che a fine settembre il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), composto da scienziati nelle Nazioni Unite, ha diffuso un nuovo rapporto speciale sul clima dove, dopo l’analisi di circa 7mila ricerche scientifiche, si è confermato che al ritmo attuale la temperatura globale aumenterà tra i 4 ed i 5 gradi (la soglia di sicurezza climatica si attesta intorno a 1,5/2 gradi) con le solite risultanze, aumento del livello del mare, continuo scioglimento dei ghiacci, migrazioni di specie…
Nel momento della definizione dei buoni propositi per il futuro sono i governi ad aver fallito.
La speranza è nella spinta in atto dalle nuove generazioni e nel prossimo COP26 dove l’urgenza della crisi sociale porterà i cambiamenti climatici sempre più in cima alla lista delle sfide vitali del nostro tempo.
di Gianluca Gualco