Il parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale si sottolinea che “i Paesi che hanno ratificato l’Accordi di Parigi devono rialzare i loro impegni in materia di riduzione delle emissioni al fine di limitare il riscaldamento ben al di sotto dei 2 gradi e l’Unione Europea dovrà rivedere i suoi obiettivi per il 2030”.
Il dibattito è incentrato ormai sugli strumenti di attuazione e i deputati europei dicono che bisognerà discuterne subito nella Conferenza delle Parti Unfccc di Marrakech a novembre.
Tra i paesi che hanno già ratificato l’accordo l’Italia non è presente poichè il disegno di legge, tardivamente approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 ottobre, non ha ancora iniziato l’iter alle Camere.
Sarebbe decisamente grave che una minaccia planetaria passasse in secondo piano rispetto agli appuntamenti politici italiani, anche perché la ratifica è solo il primo passo per cominciare a lavorare seriamente all’attuazione di una politica volta alla decarbonizzazione. Oltre ad alcuni passaggi decisamente molto contestati (vedi il Conto Energia rivisto a posteriori e la neutralità tecnologica che continua a difendere la promozione dei conbustibili fossili) esiste un fattore che personalmente ritengo più grave:
il NEGAZIONISMO.
Infatti una parte significativa della azioni per il clima è stata ritardata perché alcuni ancora negano che ci sia un problema e le persone sono più inclini a fidarsi della disinformazione creata da campagne organizzate con l’obiettivo di posticipare le misure.
Ma cosa spinge questa fetta di opinione pubblica ed i politici che la rappresentano a credere nelle teorie dello scetticismo climatico?
Secondo una pubblicazione sulla rivista scientifica Personality and Individual Differences pare che gli individui che accettano strutture di potere gerarchiche tendono in maggior misura a negare il problema.
All’università di Uppsala in Svezia dicono che «i risultati di alcuni nostri studi dimostrano che il negazionismo climatico è correlato all’orientamento politico, ad atteggiamenti autoritari e all’approvazione dello status quo. Inoltre, è correlato con una personalità determinata (a basso empatia e ad alta dominanza), alla chiusura mentale (scarsa apertura all’esperienza), alla predisposizione ad evitare di vivere emozioni negative, e al sesso maschile. È importante sottolineare che una variabile, descritta come orientamento alla dominanza sociale (Sdo), ha contribuito a spiegare tutte queste correlazioni, interamente o parzialmente».
L’orientamento alla dominanza sociale si estende quindi all’accettare il dominio dell’uomo sulla natura. I nostri stili di vita “ricchi” sono la causa primaria del cambiamento climatico, ma le conseguenze più gravi colpiscono soprattutto i Paesi e le persone poveri, così come gli animali e le nostre future generazioni.
Molte argomentazioni del dibattito sul clima ruotano attorno al “rinunciare a qualcosa per aiutare l’ambiente o il povero o il debole” ma questo poco importa ad una persona che vede il mondo da un punto di vista gerarchico.
Sarebbe forse meglio imparare a parlare anche in altri termini e descrivere come tutti potranno beneficiare delle misure contro i cambiamenti climatici, invece che essere colpiti dalle conseguenze, e che tali misure non devono essere una minaccia per la struttura della società attuale.
E’ quindi davvero possibile, al fine di impedire un cambiamento climatico catastrofico, pensare di riuscire a mutare radicalmente gli attuali modelli di consumo e produzione comprendendo anche le strutture gerarchiche ed il paradigma economico e di potere sulle quali è fondato?